venerdì 11 novembre 2016

Pastorale Americana







Tre generazioni. Tutte avevano fatto dei passi avanti. Quella che aveva lavorato, quella che aveva risparmiato. Quella che aveva sfondato. Tre generazioni innamorate dell'America. Tre generazioni che volevano integrarsi con la gente che vi avevano trovato. E ora, con la quarta, tutto era finito in niente. La completa vandalizzazione del loro mondo.
 
Pastorale Americana, Philip Roth 



I Levov fabbricano guanti. Lou Levov ha fatto fortuna in America con la sua azienda di guanti, ha insegnato il mestiere al più docile dei suoi due figli, e così Seymour Levov, a sua volta, si è arricchito producendo guanti. E a partire dal benessere economico ha poi immaginato e costruito una vita perfetta, agiata, basata sul nobile senso del dovere e della responsabilità, forgiata da un innato ottimismo e un'innata fiducia, la vita a cui ogni immigrato, come suo nonno, aveva aspirato. Il sogno americano di Seymour Levov "lo Svedese", però, è destinato a saltare in aria, l'idillio immaginato e, forse, brevemente vissuto, dovrà infrangersi nonostante tutte le buone intenzioni del protagonista, lasciandoci così inermi e assediati dalle domande proprio come lui.


Mai, in tutta la sua vita, aveva avuto l'occasione di chiedersi: "Perché le cose sono come sono?" Perché avrebbe dovuto farlo, se per lui erano state sempre perfette? Perché le cose sono come sono? Una domanda senza risposta, e fino a quel momento era stato così fortunato da ignorare addirittura che esistesse la domanda.





Di recente è uscito al cinema Pastorale Americana, diretto da Ewan McGregor, tratto dal romanzo del 1997 di Philip Roth. Martedì otto novembre sono andata al cinema per vedermelo in originale e confrontarlo in qualche modo con il romanzo, recuperato in modalità fulminea, complice una promozione di ibs (per avere un confronto esaustivo tra libro e film guardate questo video di Ilenia Zodiaco, che mi è servito, come sempre, per avere una maggiore comprensione di tutto). Il film procede scorrevole e ricalca il libro senza eccessivi sconvolgimenti (cosa che io ho apprezzato), preferendo però una narrazione più lineare rispetto ai continui flashback e alle digressioni a "matrioska" del racconto di Roth e scegliendo una resa patinata che, per quanto esteticamente gradevole, riduce certe asprezze e durezze dello stile dello scrittore. È un po' come se il cinema, perlomeno hollywoodiano, tendesse sempre a rendere glamour anche il dolore, la disperazione, la violenza e la decadenza, scontrandosi in questo caso con uno scrittore che, per come l'ho conosciuto io, indugia molto di più nel disfacimento delle apparenze e nello svelamento sarcastico, beffardo, feroce addirittura, della realtà.


La brutalità della distruzione di quest'uomo indistruttibile.
(...)
"Volevi Miss America? Beh, l'hai avuta, altroché: è tua figlia! Volevi essere un vero campione americano, un vero marine americano, un vero magnate americano con una bella pupattola cristiana appesa al braccio? Volevi appartenere come tutti gli altri agli Stati Uniti d'America? Beh, ora gli appartieni, ragazzone, grazie a tua figlia. Ce l'hai nel culo, adesso, la realtà di questo paese. Con l'aiuto di tua figlia sei nella merda fin dove è possibile sprofondarci, vera merda, fantastica merda americana. L'America pazza furiosa!"


Martedì notte, una volta tornata a casa dopo il film, mi sono sistemata sul divano con cuscini e piumone, e, imbracciata la ciotola di pop corn, ho acceso su la7 per seguire la Maratona Mentana delle elezioni americane. Momento confessione: questi eventi mi attirano più per l'emozione della diretta che per la loro natura politica, tanto che il mio entusiasmo e la mia routine divano-piumone-popcorn erano gli stessi degli Oscar o degli Emmy. Questo potrà suonare blasfemo, ma del resto, soprattutto negli Stati Uniti, non è così distante il legame che c'è tra politica e spettacolo, anzi direi che sono quasi la stessa cosa, specialmente in campagna elettorale, e il risultato credo lo confermi. Ad ogni modo quando ho iniziato a seguire la maratona ero ancora giovane e pura, e mi illudevo che un personaggio come Trump non potesse che essere un aneddoto bizzarro da raccontare ai nipoti. "Sai, piccolo mio, quando la nonna era ancora giovane, cercò invano di diventare presidente degli Stati Uniti un oscuro figuro dalla fulva chioma, una mitologica creatura che lanciava offese contro le donne, gli stranieri, i musulmani, sbeffeggiava persone invalide o malate e auspicava, tra le altre cose, il riscaldamento globale per sopperire al freddo clima newyorchese e prometteva, tra le altre cose, più armi per tutti e un lasciapassare alla violenza nelle sue varie forme, verbale, fisica, psicologica". Non che quella sera io sventolassi bandierine a stelle e strisce per Hillary Rodham (forse sarebbe stata una scelta tattica migliore tenersi il proprio cognome), ma tra i due personaggi era  preferibile evitare il male peggiore. Verso le due e qualcosa di notte abbandono nolente Mentana con i sondaggi che danno Hillary vincente all'85%, così il sonno cala sereno sulle mie palpebre. Un brusco risveglio mi attende la mattina dopo, e non è la musica di Fedez lanciata nell'iperspazio dal mio vicino di casa quindicenne, né il sole che mi acceca perché mi sono dimenticata di chiudere le imposte, bensì la televisione, che stranamente trasmette immagini dell' essere mitologico su tutti i canali. Ed è allora che ho capito: questa è la nostra pastorale americana, come la intende Roth, con la sua beffarda ironia, ovvero una storia che di "pastorale", di idilliaco, ameno, sereno e suggestivo non ha nulla. La distruzione del sogno americano.

Ma in questo blog non si parla di politica, tendenzialmente si parla di moda (usandola spesso come spunto per parlare anche di altro, con una certa libertà). E allora torniamo allo spunto "di moda" da cui tutto è partito: i Levov fabbricano guanti.

Ecco Lou Levov, l'anziano capofamiglia, testardo ma di buon cuore, che rievoca i tempi in cui era normale per una donna comune possedere una ventina di guanti, compresi quelli oltre il gomito, e di come quei "tempi d'oro" siano finiti.

Ma, vede, a quei tempi non era niente, per una donna qualunque, possedere venti, venticinque paia di guanti. Comunissimo. Le donne avevano un ricchissimo assortimento di guanti, guanti diversi per ogni vestito: colori diversi, stili diversi, lunghezze diverse. Una donna non usciva senza guanti, con qualunque tempo. Allora non era insolito che una donna passasse due o tre ore davanti al banco dei guanti e se ne provassse trenta paia, e la commessa aveva un lavandino dove si lavava le mani tra un colore e l'altro. (...) Ma tutto questo orgoglio per il lavoro ben fatto è scomparso, naturalmente. Fra gli uomini che sapevano tagliare un guanto bianco a sedici bottoni, credo che Al Haberman sia stato forse l'ultimo, in America, capace di farlo. Il guanto lungo, naturalmente, è sparito. Un'altra cosa che non tornerà più. C'era il guanto a otto bottoni foderato di seta che diventò popolarissimo, ma verso il '65 era scomparso pure quello. Prendevamo già allora i guanti più lunghi, ne tagliavamo un pezzo per accorciarli, e usavamo quel pezzo per fare un altro guanto. Da qui, dove c'è la cucitura del pollice, mettevano un bottone ogni due centimetri e mezzo, per cui si parla ancora, in termini di lunghezza, di bottoni. Grazie a Dio, nel 1960 Jackie Kennedy comparve alla televisione con un guanto lungo fino al polso, e con un guanto lungo fino al gomito, e con un guanto sopra il gomito, e con un cappellino che sembrava un portapillole, e tutt'a un tratto i guanti tornarono di moda. La First Lady dell'industria guantaria. Portava un sei e mezzo. Chi lavorava nell'industria guantaria doveva ringraziare quella signora. Personalmente, lei si riforniva a Parigi, ma che importa? Quella donna rimise in auge i guanti di pelle per signora. Ma quando assassinarono Kennedy e Jaqueline Kennedy lasciò la Casa Bianca, questo e la minigonna segnarono la fine della moda del guanto per signora. L'assassinio di John F. Kennedy e l'avvento della minigonna, queste due cose insieme furono la campana a morto per il guanto da donna. Fino ad allora era stato un lavoro che durava dodici mesi, tutto l'anno. C'era stato un momento in cui una donna non sarebbe mai uscita senza guanti, anche in primavera e in estate. Oggi il guanto è per la stagione fredda, o per guidare, o per gli sport...

Jackie Kennedy con guanti di varie lunghezze



Leggendo il romanzo mi sono immaginata Lou Levov come una specie di Abe Simpson (il nonno dei Simpson) più agguerrito, con un' opinione molto decisa su qualunque cosa. Chissà cos'avrebbe pensato Lou Levov dei guanti proposti oggi nelle sfilate...




Guanti corti (al polso)



 Tutte le immagini sono tratte dalle collezioni fall 2016.
Versace, L72, Antonio Marras, Antonio Marras,
Gareth Pugh, Antonio Marras, Rochas, Jil Sander,
Gucci (look che ho soprannominato "Big Babol pelosa"), Marc Jacobs, Marc Jacobs, Laura Biagiotti,
Moschino, Attico, Gareth Pugh, Laura Biagiotti
 
 

 
 
 
Antonio Marras, Delpozo, Gareth Pugh, Rochas,
Antonio Marras, L72, Marc Jacobs, Hermes,
Antonio Marras, Laura Biagiotti, Marc Jacobs, Thom Browne,
Gareth Pugh, Yohji Yamamoto, Laura Biagiotti, Max Mara







Guanti media lunghezza



Laura Biagiotti, Max Mara, Antonio Marras, Max Mara,
Greta Boldini, Marc Jacobs, Antonio Marras, Leitmotiv,
Laura Biagiotti, Max Mara, Max Mara, Max Mara,
Max Mara, Marc Jacobs, Max Mara, Antonio Marras
 
 
 
 
 
 
Guanti lunghi (al gomito) e lunghissimi (oltre il gomito)



Chanel, Gareth Pugh, Giuseppe di Morabito, Chanel, Christian Wijnants, Fashion East,
Moschino, Delpozo, Rick Owens, Marc Jacobs, Giuseppe di Morabito, Chanel,
Fashion East, Louis Vuitton, Louis Vuitton, Hermes, Moschino, Gareth Pugh,
Laura Biagiotti, Laura Biagiotti, Hermes, Moschino, Marc Jacobs (ops, mutilazione imprevista), CG.Chris Gelinas
 
 
 
 
 
 
Guanti mezze dita o senza dita



Giuseppe di Morabito, Chanel, Nicholas K, Giuseppe di Morabito,
Chanel, Nicholas K, Giuseppe di Morabito, Pierantonio Gaspari,
Chanel, Giuseppe di Morabito, Chanel, Giuseppe di Morabito,
Giuseppe di Morabito, Maison Margiela, Pierantonio Gaspari, Maison Margiela
 
 
 
 
 
 

Guanti di maglia



Maison Margiela, Prada, Prada, Oscar de la Renta,
Versace, Prada, Maison Margiela, Oscar de la Renta,
Prada, Prada, Prada, Prada,
Joseph, Prada, Prada, Prada
 
 
 
 
 
 
Guanti di tulle o pizzo



Foto piccole: Gucci, Gucci, Gucci, Gucci, Marc Jacobs, Marc Jacobs, Gucci, Marc Jacobs, Marc Jacobs (vi gira la testa, vero?), Moschino, Fashion East, Dries Van Noten. Foto grandi: Marc Jacobs, Dries Van Noten.
 
 
 
 
 
 
 Non proprio guanti...


Vivienne Westwood Red Label, Vivienne Westwood Red Label, Gucci,
Gucci, Gucci, Gucci 




Sapete chi era figlio di un guantaio, anche, a parte Walter Scott e i miei due figli? William Shakespeare. Suo padre era un guantaio che non sapeva né leggere né scrivere il proprio nome. Sapete cosa dice Romeo a Giulietta quando lei è sul balcone? (...). Romeo dice: "Vedete come appoggia la gota alla mano? Vorrei essere solo il guanto che copre quella mano, così potrei toccare quella gota".



Attico 






Silvia

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