venerdì 3 marzo 2017

Le Sorellastre VS Le Commesse - II° round



- Silvia, ti va di andare in centro a guardare le vetrine?

- Certo, solo quello posso fare, perché se apri il mio portafoglio escono farfalle.

- Farfalle?

- Va beh, poi ti spiego...

- Allora, alle tre passo da te?

- Facciamo quattro e mezza, ché devo depilarmi.

- Depilarti?

- Eh, poi ti spiego...





Alle tre suona il campanello. E io ho una gamba sollevata sul lavandino mentre brandisco un silk-epil in una mano e una striscia di cera bollente nell'altra. Tra i denti, ovviamente, un rasoio a tre lame.
Mi esibisco in una serie di triple bestemmie carpiate con doppio avvitamento e poi, con la morte nel cuore, indosso una vestaglietta discinta e vado ad aprire.

- Chi èèè? - chiedo melliflua, con un principio di ulcera che si fa strada.

- Silvia sono io, Giada!

- Puoi aspettare un attimo che...Entra...

Giada indossa un coordinato bianco avorio con dettagli in stampa tartan beige. Ai piedi, ovviamente, le sue fidate Hog  sneakers di gran classe. Mi guarda come si guarda un insetto, o come un insetto guarda un umano, poiché probabilmente lo schifo è ricambiato. Io accampo scuse di ogni tipo, faccio leva sulla comprensione e la benevolenza che Giada ha probabilmente perso in fondo alla sua borsa Vuit di gran classe.

- Cinque minuti e sono pronta - mi limito a dire.


Dopo circa due ore e quarantacinque minuti io e una sempre più irritata Giada siamo nelle vie del centro a fissare le vetrine. Lei le fissa con circospezione, poi fa una smorfia di disappunto, un'alzata di spalle, e tira dritto. Io mi attacco tipo ventosa con mani, piedi e lingua ad ogni vetrina che esponga qualcosa che mi piace e che costa troppo. Le due condizioni di solito si sostengono a vicenda e non si abbandonano mai. "Sarò mai milionaria?", mi chiedo sognante e malinconica.

- No! - sentenzia Giada - Questo vestito è semplicemente ORRENDO! Ma come si permettono?

- Ma quale? Quello con lo sconto del quaranta per cento?

- Cosa? È scontato?

- Sì guarda, c'è scritto che...

Giada lascia una scia come i personaggi dei cartoni quando scappano, e io mi ritrovo a parlare con il manichino, esperienza alla quale purtroppo non sono estranea.

Seguo controvoglia la mia "amica" nel negozio e subito mi si para davanti La Commessa Stronza.

- La stavo aspettando! - sibila malefica.

- Come scusi? - chiedo io evidentemente turbata.

- Ho detto: "Co-sa sta-va cer-can-do?" - ripete lei infastidita, sillabando le parole.

Io d'istinto mi guardo i piedi, ché se c'è un momento buono per librarmi e prendere il volo come nella pubblicità della Red Bull, potrebbe essere quello.

- Sono con...La mia amica è...

- Sta cercando qualcosa, signora?






- No, aspetto la mia amica che sta provando un vestito...

- Questa non è una sala d'aspetto, mi dica cosa le può servire...Giacche, pantaloni, gonne, vestiti...

...carabine, rivoltelle, fucili a canna liscia...

- Delle scarpe, forse...Ma non so se ne abbiamo di suo gusto... - conclude fissandomi gli stivaletti neri malconci.

- Guardi, non mi serve niente...

- Ne è proprio sicura? - e di nuovo quello sguardo di compatimento e disgusto.

- Niente che lei possa darmi, sicuramente.

Vorrei aver risposto così. Ma mi sento limitata a dire:

- No, grazie, mi siedo qui ad aspettare la mia amica...

- Il pouf è per i clienti che devono provare le nostre scarpe. Se vuole sedersi deve provare le nostre scarpe.

- Preferirei la morte.

Vorrei aver risposto così, restandomene comoda sul pouf più morbido del mondo. E invece:

- Allora aspetto fuori.

- Bene. Arrivederci.

Ma io ti bruc boicotto il negozio, io ti denunc  scrivo una lettera alla gazzetta, tutti devono sapere quanto siete stronzeee in questo negozio per fighetti con i pouf più comodi del mondo, i manichini senza faccia e le pareti di pelle nei camerini. Non può tanta stronzaggine passare impunita, non è giusto.


Epilogo.

Che fine hanno fatto i personaggi della storia?

Giada ha comprato il vestito nero al quaranta per cento, l'ha messo due volte.

La Commessa Stronza lavora ancora nel negozio del centro con i manichini senza faccia, si finge quasi umana con le clienti da mezzo milione di euro, tratta da stronza tutti gli altri.

Io mi attacco tipo ventosa con mani, piedi e lingua ad ogni vetrina che esponga qualcosa che mi piace e che costa troppo. Le due condizioni di solito si sostengono a vicenda e non si abbandonano mai.
"Sarò mai milionaria?", mi chiedo sognante e malinconica. "Probabilmente no", mi rispondo, accennando un sorriso.




martedì 14 febbraio 2017

Self-love is not a bad word

 
 



Scrivo perché ho avuto una brutta giornata e vorrei parlarne con qualcuno. Io sono una persona insicura, ho vari problemi di autostima, di relazione con gli altri, il problema, soprattutto, di non riuscire ad "essere me stessa", e a fregarmene un po' del giudizio della gente, che è quello che si dovrebbe fare alla fine per la sopravvivenza. Nonostante questo cerco di essere felice, cerco di essere positiva, di non guardare al passato, di combattere i miei "demoni" o perlomeno di conviverci.         
Poi però succedono cose, come oggi, che mi buttano terribilmente giù, molto più di quanto vorrei. Ero in centro e stavo andando a ritirare delle scarpe. Per strada mi ferma uno di quei ragazzi che ti allungano il volantino del caso per poi costringerti a comprare qualcosa o ad abbonarti a qualcosa. Ci sono sempre in quella via e li detesto, perché sono invadenti; io dico, gentile ma ferma, perché so quanto insistono: "No, grazie". Lui, col suo accento napoletano mi fa: "Non devi comprare niente". E, insistendo, mi mette quasi in mano una foto di gattini, che non voglio neanche sapere cosa fosse perché SO BENE che se l'avessi presa in mano sarebbe venuto fuori che dovevo dare i miei dati per qualcosa o fare donazioni per qualcosa, perché va sempre a finire così. Allora, senza guardarlo, continuo a camminare e ripeto: "No, grazie". E niente allora faccio per andare avanti e proseguire sulla mia strada, e lui mi fa: "Brava, sei brava....Cessa!". L'ha detto quando mi ero quasi allontanata ma non troppo, così da non dirmelo in faccia per darmi possibilità di reazione, ma a voce decisamente alta così che lo sentissi chiaramente. Ora, io non sono probabilmente una bella ragazza. Cioè poi io mi posso anche piacere e andare bene così, perché alla fine uno è come è, però certo, non si può dire che gli altri mi notino positivamente per il mio aspetto. E sì il fatto di non essere "bella" è un po'(molto) un mio complesso, perché di fatto è qualcosa a cui penso spesso e che mi fa star male perché mi rende tremendamente insicura. Sentendomi brutta mi sento anche frenata ad esprimere ciò che penso, perché è come se non fossi libera. È come se dovessi mettermi per forza nella posizione di "quella bruttina che però almeno sa di esser brutta e quindi si autocommisera e non fa il passo più lungo della gamba". Non so se mi spiego. Non posso rischiare di essere brillante o di dire cose fuori dagli schemi quando gli altri per tutta risposta hanno il potere di screditare tutto ciò che dico e sono pensando, o dicendo, che sono un cesso. Anzi, una cessa. Mi dà fastidio che un perfetto estraneo si possa prendere il diritto di dirmi una cosa del genere, e di farmi stare poi pure male. Sul momento anzi ho reagito inaspettatamente bene per i miei standard, nel senso che non mi sono messa a piangere in mezzo alla strada. Oggi sono solo andata avanti senza dire e fare niente. Poi in realtà sarei voluta tornare indietro a dirgli: "Non ti permettere mai più di offendere me o qualunque altra ragazza, e trovati un lavoro vero". Non so se ce l'avrei fatta a dirglielo, se mi avrebbe risposto con altri insulti, ma se ce l'avessi fatta credo mi sarei sentita meglio perché sono stanca di subire sempre in queste situazioni. Però insomma voglio dire, se anche fossi più brutta di quello che penso di essere, che maleducazione è dire una cosa del genere a una persona? Mi dispiace se ho questo naso che a differenza mia non è affatto timido, se ho questa bocca che è un punto, le sopracciglia spesse, l'aria da addormentata, e se sono troppo magra e gracilina che potrebbe bastare una folata di vento a farmi cadere. E sì ho mille altri difetti, lo so bene, ho pure i baffi, non ho seno, oddio probabilmente sono un mostro, ecco perché alla gente basta darmi un'occhiata per deridermi o guardarmi come se fossi uscita da uno zoo. Però ci sono giorni in cui riesco a vedermi anche carina dopotutto, ho begli occhi, bei capelli, se sorrido senza aprire troppo la bocca ho un sorriso carino, sono alta e ho un bel corpo, anche se sono troppo magra. Però certo lo so che non passerò mai per la bellezza sconvolgente che ti giri a guardare, di sicuro non faccio una buona prima impressione, e va bene così, però non vorrei neanche far talmente schifo da meritarmi i commenti della gente, capito? Cioè ok non son bella ma lasciatemi in pace!!! Ancora mi sento nella testa tutti i commenti e le cose tremende che mi dicevano alle medie.....Pensavo che crescendo le cose sarebbero cambiate, che io sarei diventata bella o che la gente avrebbe smesso di essere così indelicata, invece non cambia un cazzo. Scusa la parolaccia. Ma non cambia niente. Le persone che mi vogliono bene, alcune eh, non tutte, mi dicono pure che non è vero che son brutta, che sono carina, ma ormai io non ci credo più. Anzi non è vero neanche questo, io in un angolino dentro di me continuo a pensare di essere bella, probabilmente illudendomi, ma non riesco a credere di poter mai piacere a qualcuno. Nessuno potrà mai trovarmi abbastanza bella. Adesso per esempio c'è un ragazzo, che mi fa un sacco di complimenti e mi dice cose carine, sai, il genere di cose che uno vorrebbe sempre sentirsi dire. A me lui piace un sacco, ma so bene che queste cose che dice non contano, le dice solo perché è gentile, non posso credere che mi trovi realmente bella. Quindi alla fine anche quelli che sono carini con me lo fanno o perché mi vogliono bene e quindi passano sopra all' aspetto fisico, oppure perché loro sono brave persone e quindi educate. Ma innamorarsi di una persona è tutta un'altra cosa. Non ti innamori di una persona per educazione, ti innamori perché ti piace. E anche se io adoro stare sola, a volte mi dispiace sapere che nessuno mi amerà mai. Perché se anche poi trovassi qualcuno che apprezzi come sono fatta fisicamente (come dico sempre tutto può essere, ci sono anche i feticisti...), comunque io sarei bloccata nell'esprimere/mostrare chi sono interiormente, a causa dei miei complessi sull'estetica, e quindi a quel punto, paradossalmente, magari potrei piacere esteticamente a qualcuno ma non per il mio carattere, perché non arriverebbe mai a conoscere il mio carattere, e penserebbe che io sia una tipa anonima. E voglio dire se non posso giocarmi la carta della personalità proprio non ho niente a cui aggrapparmi. Sono solo triste, ho solo voglia di piangere e di sfogarmi. Non posso permettermi di tornare indietro, alle vecchie paure e ai vecchi blocchi; c'è stato un periodo, alcuni anni fa, in cui non riuscivo nemmeno ad uscire di casa per paura della gente, degli sguardi, dei commenti. E lo so che suona paranoico, ma purtroppo mi succedeva continuamente, all'università, di essere guardata male, o di sentire i commenti cattivi di ragazze che volevano farsi sentire. Ho lasciato l'università. Non solo per quello, certo, ma anche per come mi sentivo sperduta e vulnerabile in quella folla, con queste ragazzette sempre perfette che mi squadravano e mi giudicavano, o i ragazzini stronzi. Insomma mi ci è voluto tanto tempo e tanto dolore (anche di altra natura e origine), per ritrovare la forza di andare "là fuori". Ma io così non ce la faccio. Non voglio subire questi attacchi gratuiti e, posso dirlo, crudeli. Non mi piace poi essere costretta a farmi uno scanner del corpo, a smembrarmi in pezzi e a dire "questo sì, questo no", "questo va bene, questo non va bene", come sul bancone del macellaio, a tenere il filetto e buttar via le frattaglie. Siamo persone, non siamo opere d'arte, o perlomeno non opere d'arte con ambizione di perfezione, siamo opere d'arte che contemplano l'imperfezione, il difetto, l'irrazionale. Non sono una statua greca o un dipinto del rinascimento, sono un quadro cubista, una donna di Picasso, un urlo di Munch. Una tela imbrattata di Pollock. Il tempo e la critica hanno stabilito che anche quella era arte. Ma io non voglio essere analizzata e giudicata allo stesso modo, con impietosi criteri; il mio naso è giusto, anche se non è bello. Io sono giusta, io vado bene, anche se non sono bella. Ma sul nostro mondo pesa l'eredita del "bello e giusto", e mi sembra sia impossibile schiodarcela di dosso. Se allora fossi storpia, o gobba, o gravata da una malattia? Non è per "risollevarci guardando a chi sta peggio", è per dire che la vita a volte ci fa a pezzi, anche letteralmente, ma questo non può renderci meno degni di vivere. Vorrei avere indietro un po' di dignità, un po' di rispetto, e poi, volendo esagerare, anche un po' di amore.


Grazie, Silvia del passato, di riconsegnarmi a distanza di qualche anno questo tuo sfogo, questo messaggio in bottiglia a cui nessuno ha mai risposto, o almeno, non come avresti voluto tu. Avresti voluto che qualcuno ti dicesse che avevi ragione, che meritavi di essere amata, così come eri, così come sei.


Il diario di Bridget Jones


Avresti voluto che qualcuno si accorgesse di te e finalmente spezzasse l'incantesimo per colpa del quale ogni volta che ti guardavi allo specchio vedevi un mostro. Quel sortilegio che, alla fine, altre persone avevano fatto ai tuoi danni, dicendoti che eri brutta, soffocandoti di insulti, risate sguaiate, sguardi famelici. Chi erano, poi? Ragazzini delle medie. Gente sotto il metro e cinquanta che ancora non sapeva come stare al mondo, e intanto cercava di renderlo altrettanto difficile agli altri. Così come hai creduto a quelle parole che ti sminuivano e sbeffeggiavano, avresti creduto a chi ti avrebbe detto il contrario, ai complimenti e alle lusinghe? Eri vittima dell'influsso degli altri, sarebbe bastato, di nuovo, l' influsso degli altri, positivo stavolta, per sentirti migliore, all'altezza, abbastanza bella? Certo, di sicuro avrebbe aiutato, ma non sarebbe bastato.


 
 
Prima o poi, sentendoti ripetere cose belle, magari ci avresti creduto, come avevi creduto alle cose negative, ma al prezzo di dipendere sempre dagli altri e da quello che loro pensano di te. Quando le voci degli altri si sovrappongono alla nostra voce interiore, la soffocano, e così cerchiamo smaniosamente gli altri per respirare, per esistere, per essere.
 
 
I film romantici ci hanno fregato. Le commedie romantiche, i drammi sentimentali, i cartoni animati...Siamo state fregate. E forse anche fregati, intendiamoci, ché l'amore di coppia come panacea di tutti i mali è stato equamente esaltato, innalzato a totem universale, venduto con abili strategie di marketing. (Basta guardarsi attorno, in questi giorni in particolare, per accorgersene). Aspettiamo qualcuno che ci salvi da noi stessi, che ci curi le ferite con l'alcol che non brucia, che rimetta insieme la nostra vita, quel puzzle da cinquemila pezzi che è troppo noioso e difficile per noi soli. Ed è vero, è noioso, complicato, a volte doloroso stare in piedi da soli, essere felici da soli, ma riuscirci ha diversi benefici. Innanzi tutto ci rende liberi. Liberi dallo sguardo dell'altro, nel quale ci specchiamo ossessivamente, rischiando di perderci e di morire quando lui chiude gli occhi o guarda da un'altra parte. Liberi dal giudizio degli altri, che un giorno ci elogiano e un giorno ci distruggono, che possono convincerci di ogni cosa e del suo contrario, se diamo loro troppo potere.
Da liberi si vive più leggeri, e al tempo stesso si diventa più profondi, perché si cercano le proprie verità e priorità, i propri significati, invece di delegare tutte le opinioni, le decisioni, il senso della vita a un'altra persona. Inoltre, un effetto collaterale sorprendente del volersi bene e dell'essere felici da soli è che improvvisamente essere felici con gli altri e incontrare persone che ti vogliono bene come sei diventa molto più facile! È più facile trovare qualcuno disposto a finire il puzzle da cinquemila pezzi con te, se tu hai già iniziato e sei anche abbastanza contento e predisposto a farlo da solo. Altrimenti rischi di finire in mano a un maniaco pazzo dei puzzle narcisista che vuole controllare tutto, e allora si prende a carico anche la tua vita e, ahimè, la tua anima, riducendoti in breve ad essere l'ombra di te stessa, anzi, la sua ombra. Oppure trovi qualcun altro che, proprio come te, è fermo davanti a suoi pezzi del puzzle sparsi ovunque, demotivato e rinunciatario, e finirete a bere birra e a guardare i Simpson, mentre le tessere del puzzle scivoleranno sotto al divano e non verranno mai più ritrovate. Ci sono vari scenari possibili, ma di sicuro si rischia troppo ad aspettare che un essere mitologico e perfetto vestito d'azzurro venga a salvarci. E a fare il nostro puzzle. (La smollerò entro la fine 'sta metafora del puzzle, che era già piuttosto abusata in partenza oltretutto?).


Sì, ok, qualcosa del genere...



Sono passati alcuni anni, eppure mi sembrano anni luce; oggi non scriverei più quelle parole così dure e disperate su di me e sul mio destino solitario, anche se ogni tanto ci scherzo ancora su, sul fatto che finirò come la gattara dei Simpson, e ogni tanto mi fa paura davvero il pensiero. Soprattutto, non credo che oggi mi farei rovinare la vita da un maleducato qualunque, le cui parole rivelano più della sua inciviltà che della mia bellezza. O almeno, spero che non mi farei rovinare la vita da una cosa così ignobile e priva di significato. Ma forse ci resterei male comunque, sono umana, dopotutto. E il self-love è un lavoro a tempo pieno, un terreno da coltivare ogni giorno; ma perlomeno posso respirare un po' e affermare che quel sortilegio, quella magia nera, quella voce che mi sussurrava all'orecchio che non ero abbastanza e che non meritavo di essere amata non ha più lo stesso effetto su di me. Non l'ho sconfitta e zittita del tutto, ma sono diventata più forte, e la combatto con armi migliori.







Cercate di volervi bene...♥
Buon San Valentino!



venerdì 13 gennaio 2017

Come vestirsi ai concerti - Winter Edition



- Oh Silvia, questa è l'ultima volta! - mi avverte mio fratello mentre uno sbuffo d'aria fredda gli appanna le parole.

- Sì sì, stavo per dirtelo, questa è l'ultima! - gli faccio eco io, stretta nel mio piumino, con gli occhi lucidi e un unico pensiero in testa: "Perché cavolo non ho messo una calzamaglia di lana e degli stivali con l'interno in pelliccia?!"





Siamo in coda da circa un'ora, altri sessanta minuti ci separano da quello che si prospetta come il concerto della vita, un concerto che io aspetto da circa undici anni ('mazza se inizio ad essere vecchia...); ora però sento solo il freddo, le mani gelate, i piedi assiderati, i pensieri ghiacciati. Mi tiro su il cappuccio del Woolrich (ebbene sì, mi sono venduta al Lato Oscuro della Forza e posso assicurarvi che il Lato Oscuro non è mai stato così confortevole) e lo lascio cadere fino agli occhi. Il maglione a collo alto mi copre praticamente fino al naso (quando inventeranno i copri naso di lana?), perciò quel che resta del mio viso è una porzione di sguardo appena sufficiente per guardarmi attorno, e osservare come quella fila interminabile di persone si adoperi per sopravvivere al freddo. Molti si muovono e si agitano per divincolarsi dalla morsa glaciale, improvvisando balletti e corsette sul posto; altri, più temerari, abbandonano la fila per farsi prendere dal sacro fuoco della corsa vera e propria (o camminata a passo veloce); alcuni poi ripiegano su cibi e bevande calde, portati giudiziosamente da casa o comprati da qualche baracchino ambulante lì attorno al modico prezzo della loro anima. C'è chi si corrobora con parole e risate tra amici, chi invece entra in modalità letargico-incazzosa e non rivolge la parola nemmeno alla fidanzata, colpevole magari di aver avuto l'idea di un concerto in quel di gennaio. Passata un'altra mezz'ora, ci ammassiamo gli uni agli altri come pinguini, ormai rassegnati a riscaldarci a vicenda.



I pinguini imperatore si stringono gli uni agli altri per proteggersi dal freddo antartico
 
 


Ora, tutti sappiamo, o speriamo, che una volta finita l'attesa e aperti i cancelli, i nostri sacrifici e il nostro assideramento saranno ricompensati dall'arrivo del nostro gruppo del cuore, dalla musica, dalle canzoni, dall'eccitazione, dallo sfogare ogni rabbia e tristezza e freddo subiti, cantando a squarciagola e ballando come se nessuno ci stesse guardando. Ma non arrivare adeguatamente preparati all'evento può pregiudicare tutto, lasciando che il freddo, la ressa, l'attesa siano tutt'altro che parte del piacere o inevitabili rovesci della medaglia, bensì impedimenti tanto dannosi e deleteri da farci giurare di non andare mai più a un concerto (!). O da farci ammalare e stare a letto per la settimana seguente (coff coff...). I concerti non sono per tutti, bisogna arrivarci arm preparati! Lezione che ho appreso sulla mia pelle, quando nel lontano 2002 svenni a un concerto dopo essere arrivata lì mezza digiuna, subito dopo la lezione di danza. Ero in prima fila, sotto al palco, mai stata così vicina, e dovetti abbandonare quell'invidiabile postazione e seguire il resto del concerto dalla barella della Pubblica.







Quindi, se si tratta di un concerto rock, rap, pop, hip-hop o insomma un concerto che prevede che stiate in piedi e che, presumibilmente, balliate, iniziate ad allenarvi un po' di tempo prima come fanno i cantanti e i musicisti. No, va beh, non dico di iscrivervi in palestra o di fare sport, non mi spingerei mai a tanto, ma abituatevi a muovere un po' di più...le gambe....Fare le scale al posto dell'ascensore e menate varie. Potreste, perché no, abituarvi a ballare ogni giorno sulle canzoni del concerto, approfittandone così per ripassare anche i testi. Prima dell'evento fatidico, mangiate in modo accorto ed equilibrato, per avere l'energia necessaria senza sentirvi appesantiti, e siate certi di arrivare riposati (la sera prima dormite, non state a cercare su youtube video dei concerti passati, quello avreste già dovuto farlo, accidentaccio!). Ora che le funzioni vitali sono in buono stato, viene il punto chiave: come vestirsi. Stiamo parlando di concerti invernali, il gotha di tutti i concerti sfiancanti; lo so che anche i concerti estivi negli stadi non scherzano, ma lì l'obiettivo è uno solo, non morire di caldo, qui invece c'è un duplice obiettivo: non morire di freddo fuori mentre aspettate e non morire di caldo dentro durante il concerto. Richieste antitetiche e paradossali che potrebbero farci perdere la speranza e farci arrendere all'una o all'altra sorte. E qui intervengono le Sorellastre!


Sono il signor Wolf, risolvo problemi (Pulp fiction)
 
 
 
- Canottiere di lana e seta. Esistono canottiere in tessuto misto lana&seta, sottilissime, confortevoli sulla pelle, leggere e calde al tempo stesso. Una goduria nel settore biancheria intima. (Sentite anche voi i cori angelici mentre parlo di queste canottiere, vero?). : P So che esiste gentaglia che non mette la "maglietta della salute", ma per me è irrinunciabile da settembre-ottobre a marzo-aprile, e se tra di voi ci sono lettori invisibili scettici, pensate a rispolverarla almeno in questa occasione speciale.
 
 
- Vestirsi a strati. Lo so, niente ingegneria aerospaziale oggi. Vestirsi a strati è il consiglio e la regola sempreverde di queste stagioni non stagioni del cappero che ci troviamo a vivere. L'unico faro in un aprile che sembra gennaio e in un gennaio che sembra...Gennaio, ma in Groenlandia (e in questo caso gli strati ve li terrete tutti addosso). Quando l'escursione termica da mattino a sera cambia come l'umore della vostra ultima conquista, dovete vestirvi a strati. Quando siete costretti a vivere in luoghi chiusi che simulano stagioni opposte a quelle reali (aria condizionata a palla d'estate, riscaldamenti che trasudano calore d'inverno), dovete vestirvi a strati. Quando dovete andare a un concerto d'inverno, dovete vestirvi a strati. Sugli strati in questione avete libero arbitrio (in realtà l'avete su tutto, ognuno sceglie di che morte morire). Consigliabile però una maglietta o camicia di cotone a manica lunga (potete sempre tirare su le maniche durante il concerto, mentre con la manica corta farete poco), e sopra un maglione/cardigan di cachemire o altro tessuto che sia molto caldo ma non troppo spesso e ingombrante. A un certo punto dovrete infatti sbarazzarvi del maglione, e questo, in una folla di persone fameliche che puntano a stare sotto il palco, potrà essere un po' difficoltoso. Consiglio di lasciarlo insieme al cappotto nel guardaroba, ben sistemato sulla gruccia. Se siete in due o più persone al concerto, scegliete un "guardarobiere designato", uno solo tra voi che porterà tutti i cappotti/maglioni al guardaroba mentre voi altri vi sarete già sistemati abbastanza avanti e resterete lì in zona calda a "tenere il posto". Se siete soli, le soluzioni sono tre: andate subito al guardaroba a liberarvi dei pesi e amen per il posto sotto al palco; vi legate maglione e cappotto in vita (se ci riuscite!) e amen per lo stile; vi legate maglione e cappotto alla cintura (questa è da samurai ma vi assicuro che funziona).
 
 
- Tessuti naturali e tessuti "audaci". Suderete, e starete a strettissimo contatto con molte altre persone (che a loro volta suderanno...Ok, detta così sembra più un'orgia che un concerto, ma a volte la differenza può essere sottile O.O). È il caso, quindi, di scegliere abiti di tessuti naturali, perché non c'è niente di peggio del tessuto sintetico sudato. Altrimenti potreste osare con pelle, vernice, rete... Materiali insomma che nella vita quotidiana sono sempre rischiosi, mentre al buio di un concerto possono esprimersi senza macchia e senza paura.
 
 
- Pantaloni o jeans anziché gonne. Dovrete stare al caldo mentre aspettate fuori, correre per raggiungere il palco, ballare, essere trascinati da gente che poga incautamente, farvi largo tra la folla imprevedibile...Insomma, ci vogliono abiti comodi. E quasi sempre scegliere "abiti comodi" equivale a preferire i pantaloni e i jeans alle gonne. Se però siete tra quelle che si trovano più a loro agio con le gonne (o i vestitini), ricordatevi di indossare collant super caldi (di misto cachemire o roba così) e di non scegliere modelli troppo attillati che impediscono i movimenti (pencil skirt, adieu).
 
 
- Tasche a pioggia. Le tasche servono sempre in questi casi, sono l'equivalente della tartaruga che si porta dietro la casa. No, non dovrete stipare di tutto nelle vostre tasche, ma potrete approfittarne per liberarvi di fazzoletti, cicche, caramelle, biglietti, e altre piccole amenità.


- Tracolla piccola . Dove le tasche non arrivano, arriverà una tracolla di piccole dimensioni da portare di traverso, così non vi impedirà nei movimenti convulsi a cui vi lascerete andare durante il concerto. Evitate borse enormi e pesanti o zaini (che tra l'altro spesso sono vietati), e riducete al minimo il vostro occorrente. Cellulare (per ritrovare gli amici/fidanzati/fratelli e sorelle persi pogando), carta d'identità (per ricordarvi chi siete - a fine concerto potrebbe essere tutto molto confuso), soldi (pochi, utili per ritornare a casa nell'eventualità che abbiate perso i vostri accompagnatori nel delirio). Poi fazzoletti, che servono sempre, gel disinfettante mani versione tascabile per le più fissate, una caramella rinfresca alito e un burrocacao per il vostro bien etre e per baciare senza indugi il tipo che vi sarà a fianco, in un momento di follia e azzeramento dei freni inibitori (la musica e il ballo fanno questi effetti, lo sapeva bene il reverendo Moore).


 
 - Piumino, pelliccia, montone (con tasche). Ricordatevi del freddo. Starete in fila minimo mezz'ora, massimo...Un'intera giornata? Dipende da voi, da dove arrivate, da quanto volete stare vicini al palco e da quanto siete disposti a soffrire. Non sempre arrivare otto ore prima paga, purtroppo, perché le file si muovono in modo abbastanza scomposto e tutto si decide nella corsa finale nel palazzetto, dopo che sono stati aperti i cancelli. (Non vi dico a cosa mi fa pensare quella corsa finale gli uni contro gli altri, perché potreste chiamare la neuro e non sono psicologicamente pronta per un ricovero). Comunque, è inverno e, breaking news, farà frrrreddo. Quindi ricorrete al cappotto più caldo che avete nell'armadio. I cappottini di lana al ginocchio o più corti sono carini, bon ton o rock, insomma sono scelte impeccabili di stile, ma solitamente non sono troppo caldi. Credo che il massimo livello di calore lo raggiungiamo con i piumini (non necessariamente di vera piuma d'oca), le pellicce (non necessariamente di vero pelo), i montoni (idem). Le tasche, come ormai avrete capito, sono sempre un plus.
 
 
- Sciarpa, cappello, guanti. Che siano coordinati o volutamente a contrasto, non dimenticateli, mi raccomando! Immaginatemi vestita da vostra nonna mentre vi do questo consiglio. Sono sulla porta di casa, con le calze color carne e un foulard in testa (insomma 'na befana più che una nonna) e vi dico, in un vostro dialetto a scelta: "Mi raccomando! Non dimenticare sciarpa, cappello e guanti!". Poi li metterete nelle numerose tasche del vostro cappotto, o sulla vostra gruccia d'acciaio.
 
 
- Scarpe comode e calde. I piedi sono quelli che soffrono di più nelle lunghe attese al freddo e al gelo. Lo so perché l'ho appena vissuto, è un trauma fresco, anzi ghiacciato. Quindi optate per scarpe calde, stivali che coprono anche una porzione di gamba, e se l'interno in pelliccia può diventare eccessivo quando poi sarete dentro a scatenarvi, compensate con le calze. Le scarpe, naturalmente, devono essere comode, per saltellare e trotterellare (?), quindi eviterei i tacchi, e starei su una scarpa che già avete usato e "adattato" con l'uso al vostro piede.

 
- Calze. Se al punto prima avete scelto scarpe comode e adatte ma non particolarmente calde (per esempio stivali o sneakers che mettete anche ad aprile), allora è il caso di arrendervi a calze pesanti, non dico di lana ma comunque un po' più spesse e calde del normale. Il fantasmino e il calzino che appena arriva alla caviglia non saranno i vostri migliori amici in questa battaglia contro l'ipotermia.

 
- Niente gioiellini. Oltre a poter diventare un'arma involontaria nei vostri gesti inconsulti durante il concerto (anelli da cocktail stampati in fronte al vicino non sono il modo migliore per socializzare), gioielli e gioiellini possono diventare scomodi, impigliarsi, perdersi. E lo scopo è sempre avere meno impedimenti possibili. Essere creature danzanti libere e felici.



E a questo punto, quando siete preparati, pronti, carichi, emozionati...


Green Day, Bologna - 13 gennaio 2017


 

- Oh Luca, quest'estate vengono anche a Lucca, ci andiamo vero?

- Ma... - momento di confusione negli occhi di mio fratello - Sì, certo, ci andiamo.